(PUBBLICATO IN CERAMICANTICA, novembre 2006 )
di Rosario Daidone
In seguito alle ricerche archivistiche condotte in questi ultimi anni i supporti forniti dai documenti siciliani alle indagini nazionali sulla maiolica rinascimentale da farmacia - divenuti sempre più numerosi e interessanti - esaltano il ruolo di centralità che ebbero nel Mediterraneo i porti di Palermo e Messina nel ‘500 e sottolineano lo sviluppo che trovò la scienza alchemica nell’Isola. Alcune recenti testimonianze connesse alle fabbriche di Casteldurante, rintracciate nelle carte palermitane del XVI e XVII secolo, estendono la serie dei rapporti già individuati tra la grande produzione delle fabbriche italiane e la diffusa fruizione siciliana.
Gli acquisti di diverse bornìeusatedi Faenza, operati nel 1595 dagli speziali Mario e Giuseppe Fulco presso un rivenditore palermitano, s'inseriscono nell’animato circuito commerciale delle maioliche forestiere disponibili sul mercato locale che, ricco di prodotti toscani, liguri, napoletani, calatini, è solo in parte condizionato dalle realizzazioni di Caltagirone e Sciacca e dalle forniture intestate ai fratelli Lazzaro recentemente immigrati da Naso. Promette invece ulteriori sviluppi il noto atto notarile che i due fratelli stipularono nel 1605 col mercante - già operante a Messina - Cesare Candia, per l’acquisizione di una dozzina di vasi fatti a piro (a balaustro) di Casteldurante,che avrebbe contribuito a rinnovare l’assetto scenografico della loro antica aromateria.
Come operatore di primo piano all’interno della professione, Giuseppe Fulco rivestirà la carica di consigliere della maestranza nel 1620 quando verrà chiamato a stimare il vasellame di fra Celestino, al secolo Giuseppe Cappellino che - divinu spiritu electus- aveva deciso di abbandonare storte e alambicchi per vestire il saio degli Scalzi.
Ricoprirà la stessa mansione nel 1626, quando diverrà unico gestore dell’attività dopo la scomparsa del fratello Mario. Tra i mille pezzi elencati per origine e forma nell’inventario stipulato in questa circostanza i manufatti faentini costituiscono, non a caso, il nucleo più consistente dell’enumerazione: 223 maioliche, antichee moderne, decorate a trofei su fondo turchino. Una moda che ebbe così fedeli e ostinati estimatori in Sicilia da aver vincolato a questo registro ornamentale le fornaci peninsulari ancor prima di ancorare allo stesso tema quasi tutte le officine isolane del ‘600. Nello stesso documento, gli addetti alle stime del corredo figulino, non curandosi di citare il luogo di fabbricazione di un cilindro con “l’insegna di Andrea Doria”, l’eroe di Lepanto che aveva contribuito nel 1571 a liberare le coste italiane dalle scorrerie turche, né di annotare la provenienza di una ventina di albarelli con l’emblema del leone - figura d’indubbia ascendenza alchemica assunto dai Fulco come insegna della loro bottega – sono favorevolmente sollecitati da una coppia di vasi durantini: n° 2 balli di castellofatti a piro grandi, cui è riservata l’invidiabile valutazione di un’oncia e 28 tarì nonostante l’annotata smozzicaturaal labbro che condiziona l’aspetto di uno di essi. Dovrebbe trattarsi delle sopravvissute realizzazioni piriformi ordinate nel 1605 delle quali conosciamo le misure espresse nella polizza di commissione: di tundo et de larghicza palmi tri(circonferenza max. cm.77, 25) et de alticza palmo uno et un quarto(cm. 32,18 ca.). Ma a rendere concreto e intrigante il dato archivistico intervengono le relazioni che esso suggerisce nell’esame di un reperto di collezione privata pubblicato nel catalogo di una Mostra allestita nel Palazzo Ducale di Urbania nel 19821. La forma a balaustro e le dimensioni di quest’opera coincidono perfettamente con la descrizione offerta dal nostro inventario; l’emblema del leone dipinto nel suo medaglione, associato alle iniziali G. F. che lo affiancano, trova simmetrie riscontrabili nella farmacia di Giuseppe Fulco.
Il vaso, che reca la scritta in Castello Durante / per mastro simono / a di vinte 5 d giuni 1562, potrebbe non solo aver fatto originariamente parte del corredo palermitano, ma essere anche utilizzato come modello dell’ordinazione candiana. Né possono stupire, nella considerazione del clima di generale difesa delle tradizioni e attaccamento al passato che accomuna la categoria degli speziali, la lunga sopravvivenza nella bottega e l’adozione da parte dei proprietari di un modello vecchio di otto lustri per un nuovo ordinativo. Il fenomeno si verifica a Palermo in diverse circostanze compresa quella in cui il mercante Castruccio nel 1553 si era impegnato d’importare maioliche faentine per lo speziale Galeno Castrogiovanni che possedessero le caratteristiche formali delle bornìedella farmacia Boeri, allestite diversi anni prima. D’altronde le numerose realizzazioni figuline rinascimentali citate negli inventari del ‘600, è indice della lunga vita degli stessi vasi negli scaffali, soprattutto quando si tratta di esemplari poco usati, “da mostra” come la seducente opera esposta a Urbania, custoditi e riguardati dagli speziali alla stregua di oggetti antichi che contribuivano ad accrescere il prestigio della loro attività.
Occorre avvertire che le notizie d’archivio non riescono a sciogliere del tutto il nodo dell’ubicazione del reperto durantino nel ricco armamentario di Giuseppe Fulco. Egli lascia l’ultima traccia della sua esistenza in una ricevuta consegnata nel 1630 al rampollo di un principe passato alla storia per l’efferato “delitto d’onore” che lo vide coinvolto nell’uccisione della figlia, la baronessa di Carini, illecitamente innamorata.
Secondo i calcoli cui occorre affidarsi in assenza di dati storici, per avere la ventina d’anni necessari all’esercizio della professione quando mastro Simone allestì il vaso, il nostro speziale, cui si intendono attribuire le iniziali G. F.,tracciate sulla cornice del medaglione dedicato al leone rampante, dovrebbe essere nato intorno al 1540 ed essere scomparso quindi ad un’età che superava di poco gli ottant’anni. Una longevità che rende - seppure al limite - percorribile l’ipotesi dell’appartenenza dell’opera al suo corredo rafforzata com’è dalla valutazione di alcuni nessi suggeriti dal contesto.
I documenti di un’altra bottega palermitana gestita dalla famiglia Boeri potrebbero infatti agevolare l’indagine.
La presenza tra il 1562 e il ’63 di Andrea Boeri a Casteldurante2, dove si era recato per rifornirsi di 400 vasi nella fornace di Angelo e Ludovico Picchi s’iscrive, nella pratica delle acquisizioni vascolari dirette e senza intermediazione di mercanti, come un episodio che si avvia ad assumere contorni meno incerti. La mancanza d’indizi relativi ai manufatti ordinati a Casteldurante nell’inventario redatto in seguito alla morte del padre nel 1587 sembra una diretta conferma dei dati dell’Archivio di Stato di Urbania dai quali si evince che, nonostante la caparra di novanta scudi d’oro ricevuta, i Picchi non consegnarono mai al committente palermitano i vasi che si erano impegnati di fabbricare3. Ma ciò che più interessa la nostra ipotesi è la coincidenza della data del viaggio di Andrea con quella segnata nell’opera di Simone da Colonnello. Coincidenza che offre la possibilità di pensare che, in seguito ai malintesi avuti con i Picchi, lo speziale siciliano si fosse rivolto proprio a questo maestro per un’eventuale commissione affidatagli dall’esordiente collega Giuseppe Fulco, col quale la famiglia Boeri intratteneva rapporti d’amicizia.
Un’altra questione sollevata dall’inventario Fulco riguarda la dozzina d’albarelli con emblema di leone, testimonianza delle periodiche integrazioni del vecchio armamentario della bottega, dei quali non è dichiarato il luogo di fabbricazione. Se la citazione inventariale viene riferita al gruppo di reperti secenteschi custoditi nella Galleria Regionale della Sicilia, nei quali è stata individuata la stessa insegna4, la coincidenza rispecchierebbe l’andamento del mercato e le mutazioni degli indirizzi commerciali verificatesi agli inizi del XVII secolo, periodo che vide l’immigrazione di alcune qualificate maestranze calatine a Burgio e a Palermo e il risveglio delle fabbriche della Sicilia occidentale artisticamente intente alla rielaborazione dei modelli tardo-rinascimentali.
Se così stanno le cose, Paolo, figlio di Giuseppe Fulco, destinato a prolungare l’attività della vecchia spezieria fondata dal nonno Mario nella prima metà del ‘500, non si sarebbe allontanato dalle esigenze estetiche della famiglia acquistando gli albarelli palermitani decorati nel primo quarto del ‘600 da Filippo Passalacqua, un esperto e consapevole maestro che, seguendo lo spirito del suo tempo, ebbe il merito di cogliere l’opportunità di una nuova interpretazione delle abusate panoplie. In esse, tra le celate, gli scudi e i tamburi frequentati nella precedente stagione creativa dalle fabbriche più rinomate, il leone si associa alle figure ermetiche e ai simboli magici circolanti all’interno di una credenza - oscura e inquietante - basata sulla fascinazione di geroglifici, caratteri, lettere, parole non interpretabili, teorizzata nei libri – ben noti in Sicilia - di Filippo Teofrasto Paracelso, convinto assertore del potere benefico dei segni tracciati, di concerto con determinate congiunzioni astrali, su materiali e metalli opportunamente manipolati.
NOTE
1 cfr. La ceramica rinascimentale metaurense, 1982, Cat. a cura di C. Leonardi; pag. 58- 59, fig. 39
2 Andrea Boeri, speziale e non mercante come era stato ritenuto, acquistava nel 1571 una gran quantità di rose da passare agli alambicchi nella spezieria che, assieme allo zio e al padre Pietro, gestiva nella centrale via della Bandiera
3 Urbania, Arc. Not. rog. Aurelio Colonnelli n. 119, c.113 v, 23 /12/1562; Urbania, Arch. Com. Arch. Ant., B 29, n.1, 6 Giugno 1563
4 Cfr. Aromataria, Maioliche da Farmacia e d’uso privato, Cat. a cura di R. Daidone, Palermo 21/10,2005- 8/1 2006; pagg. 58 – 60 - 61
Nessun commento:
Posta un commento