mercoledì 18 aprile 2018

BREVE LA VITA FELICE DELLE MAIOLICHE DI POLIZZI


di Rosario Daidone
Non è possibile immaginare una storia della ceramica siciliana che, affrontando il periodo di transizione dal Medioevo al Rinascimento, non debba fare i conti con l’attività di Polizzi. Penalizzata dalla mancanza di reperti, essa viene infatti puntualmente ricondotta all’attenzione degli studi per l’esistenza di una serie di documenti che attestano la circolazione delle sue maioliche dalla seconda metà del XV al primo quarto del secolo successivo.
Da lungo tempo Interessato alle lavorazioni dell’argilla, il centro madonita assecondava, come altri nella seconda metà del XV secolo, la crescente domanda degli oggetti smaltati che, mutate le esigenze, più della terracotta erano adatti all’uso quotidiano. L’esperienza della smaltatura, che nella cittadina si fa risalire al secolo XIV,1assicurava alle maestranze le tradizioni culturali necessarie ad organizzare l’attività manifatturiera in diverse botteghe, dislocate ai margini del tessuto urbano, adibite alla fabbricazione di diverse forme lavorate al tornio: giare, boccali, bricchi, piatti, vasi da farmacia cilindrici e globulari stagnati per immersione. Interi carichidi “roba intrizzata” (mista) che, ancor prima di uscire dalle fornaci, era venduta ai commercianti del capoluogo2.
Maioliche prive di decorazione, senza alcuna pretesa artistica, ma dotate della solidità architettonica e della qualità dello smalto, appaiono citate nell’inventario della spezieria palermitana di Nardo De Caligis che nel 1431 manteneva ancora un assetto medievale nel suo esiguo corredo vascolare costituito da alcuni esemplaricatalinischiprovenienti da Barcellona e da 30 burnij (bocce e albarelli) di puliczi(Polizzi) dalle caratteristiche estetiche non dichiarate. A conferma della diffusione delle maioliche madonite nelle aromaterìe del XV secolo intervengono ancora altri inventari palermitani (spezieria di Giuliano De Medicis e spezieria di Mariano Caltanissetta) che, insieme a burnij(albarelli e bocce)bianche e verdi di Sciacca, enumerano, intorno alla metà del secolo, oglialori(bricchi) per oli e acque insieme a giarrotte piccole (vasi cilindrici ansati muniti di coperchio) di Polizzi. Anche in questi casi, se per le maioliche del centro agrigentino viene indicato almeno il colore dello smalto, per quelle di Polizzi la mancanza di attributi è assoluta, segno della loro facile individuazione in un contesto non ancora diversificato di prodotti disponibili3.
I primi segni della crisi si manifestano presto, a partire dall’ultimo decennio del secolo, non tanto nella scomparsa di Giovanni Di Fede, uno dei cannataripiù attivi, quanto nei tentativi falliti del mercante genovese Paolo Boeri d’incrementare - e probabilmente di qualificare artisticamente - l’attività in cui la cittadina madonita sembrava per lunga consuetudine versata, con la conseguente decisione di tornarsene nel 1496 a Palermo dopo aver ceduto in subaffitto l’officina che aveva ottenuto due anni prima dal Convento di San Francesco. Nello stesso anno Giovanni Tranchida, fabbricante di giare rustiche nella contrada delle Colombe e fornitore di oggetti di prima cottura ai maestri smaltatori (cannatari), abbandonava il luogo per trasferirsi a Palermo dove aprirà una delle più longeve fabbriche di tegole e mattoni dislocate alla foce dell’Oreto.
Agli inizi del ‘500 il numero degli addetti alla lavorazione dell’argilla non doveva essere elevato se la chiusura di due botteghe era sufficiente a mettere in crisi il gabellotodelle decime dei cannatari e quartarari (maiolicari efabbricanti di cotto) di Polizzi il quale nel 1515 chiedeva al viceré ed otteneva una dilazione nel versamento delle somme dovute all’erario a causa della perdita economica subita4. Ogni energia produttiva, che si era giovata per lunghi anni della presenza di estesi giacimenti di argilla e della facile reperibilità del combustibile nei boschi circostanti, sembra del tutto spegnersi quando si intensifica sul mercato la disponibilità delle più accattivanti realizzazioni calatine5e delle maioliche di Sciacca - non aliene dalle elaborazioni artistiche mutuate dalla Spagna - destinate ad affiancare le opere rinascimentali d’importazione (spagnole, toscane, faentine, napoletane, veneziane, durantine) che, ricche di decori ricercati e di elaborate e colte illustrazioni, contribuivano ad accrescere il prestigio degli speziali siciliani meglio delle maioliche autoctone che a partire dal 1491, anche a Palermo, nel quartiere dell’Albergheria, fabbricava, senza decorazioni, Calogero de Gerardo. 
Nel 1502 i documenti relativi all’aromateria palermitana di Francesco de Jardino6, in possesso di numerose maioliche continentali, non registrano alcun esemplare di Polizzi. Sulla cittadina madonita doveva pesare la lontananza dal mare - unica agevole via dei traffici del periodo - e la migrazione nel capoluogo delle sue maestranze che qui incontravano gli operatori di Sciacca e di Caltagirone. Nel primo quarto del ‘500 piccole rivendite palermitane di vasellame continuavano a tenere, accanto alle maioliche importate, contenitori smaltati di giallo o di verde caratteristici della cittadina demaniale, ma doveva trattarsi delle ultime forniture7giacché, intorno al 1534, entravano in piena attività a Palermo maestranze (anche di origine polizzana) capaci di produrre maioliche utilitarie esenti almeno dall’onere del trasporto8. Nonostante la produzione madonita avesse un ruolo sempre più marginale sul mercato isolano, l’attività della cittadina sembra riuscisse a superare il primo quarto del ‘500 come si evince dagli acquisti, nel 1535, di una certa quantità di piombo e stagno destinati alle sue officine9. Il mancato inserimento nella produzione artistica dell’artigianato polizzano si manifesta chiaro e incontestabile nelle scelte operate dall’aromatario ebreo Pietro Faraci abitante a Polizzi che per la sua bottega acquistava negli anni Venti del ‘500 l’intero corredo vascolare dai maestri di Sciacca10. Né sembra assumere rilievo la consueta vendita all’ingrosso di boccali a smalto giallo intorno al 1527 ché si inserisce nelle forniture dozzinali della stoviglieria domestica11.
La marginalità delle botteghe di Polizzi negli studi della materia è riferibile alla mancanza di reperti di sicura attribuzione. L’assenza della decorazione pittorica, che negli studi della materia avrebbe potuto costituire una cifra e a una “maniera” riconducibili a un gusto e ad una cultura contestualmente individuabili, si evince dalle rare descrizioni documentali esclusivamente riferite a un generico colore giallo dello smalto e alla foggia delle anse anguiformi. L’unica illustrazione più dettagliata in cui si prova un addetto alle stime è quella relativa all’inventario redatto in occasione della società formata dagli speziali palermitani Di Dato e Pontiano nel 1565. Nel documento sono elencati, reliquie del vecchio corredo, due orci di Polizzi globulari e ansati privi di decorazione, con collo alto cilindrico, resi inservibili da un lungo uso.12L’assenza decorativa, in un esemplare che manifesta la sua peculiarità architettonica, sembra denunciare la mancata adesione delle maestranze alle istanze rinascimentali. Il fenomeno avrà un peso determinante sulla debole produzione siciliana del ‘500 incapace di soddisfare le richieste più qualificate che si orientavano, con crescente determinazione, ai prodotti nazionali. L’intensificarsi dei traffici marittimi, animati soprattutto dai mercanti catalani e genovesi, che avevano nell’Isola potenti colonie, capaci di indirizzare le scelte e gli orientamenti estetici dei fruitori, assieme all’attività portuale che favoriva la circolazione di ogni genere di mercanzia, stoffe fiorentine e panni catalani, stagno delle Fiandre, spezie orientali, vetri di Venezia e maioliche di Faenza, scoraggiavano di fatto ogni tentativo d’intrapresa e di innovazione, pesantemente condizionato dalle scelte politico-economiche della Spagna. Fatta eccezione per Sciacca e Caltagirone, che a stento si sottraevano all’invadenza dei prodotti forestieri, la rinascita artistica delle botteghe figuline siciliane si verificherà soltanto alla fine del secolo e avrà il maggiore sviluppo nella prima metà del successivo. 
I tentativi di anticipazioni cronologiche a proposito della decorazione e della pittura nella maiolica di area palermitana, poggianti sulla forzatura dei documenti cinquecenteschi o nell’errata interpretazione degli stessi -che avevano indotto estimatori e collezionisti ad incorrere in comuni errori di prospettiva- sembravano avere esaurito la loro scorta nella letteratura locale, se non si manifestassero inaspettatamente ancora oggi. Si iscrivono infatti nel repertorio dei malintesi e nella lettura dei documenti avulsa dal contesto storico due contributipubblicati recentemente negli studi promossi dal Museo delle ceramiche di Caltagirone in onore di Antonino Ragona13
Nel primo14si trova trascritto tra i documenti allegati un notarile dell’Archivio di Stato palermitano15del primo Ottobre 1501 che contiene un impegno di fornitura deglistazzonaripalermitani Guglielmo Maccarruni e Calogero de Gerardo al commerciante Paolo Boeri. L’espressione relativa alla merce, costituita da “cantarellos CCC stagnati dintra et di fora et grassi di stagnu”, viene letta come “cantarellos CCC stagnati dintra et di fora etgrossi disignu”. A causa della grafia poco chiara la lettura della carta non è agevole, ma - ad un attento esame - la locuzione “grossi disignu”, estranea al linguaggio delle fonti, appare del tutto fuori luogo se applicata ai cantarellidestinati alla lavorazione dello zucchero. Peraltro il prezzo convenuto di quattordici grani ogni tre pezzi, l’un per l’altro, come è detto più avanti nel documento, sarebbe stato vistosamente inadeguato a opere dipinte16. I figuli Calogero Gerardo e Guglielmo de Politio detto Maccarruni sono noti agli studi per consimili numerose forniture agli zuccherifici intorno agli anni Novanta del ‘400 e in particolare a quello di Pietro Antonio Imperatore, gestito dall’ebreo Vito Ferreri. 
Assume invece un carattere di singolare acrobazia letteraria la trascrizione di un’altra espressione contrattuale nel secondo “contributo”17. In questo caso gli autori, leggendo un documento dello stesso archivio, relativo all’allestimento di quarantamila mattoni, il 17 novembre 1574, da parte di due tegolai di Alcamo a Francesco Ram, erroneamente interpretando la scrittura del notaio, (in questo caso chiara e ordinata) “miliara quadraginta laterum ben cotti,sani,drittiet netti di petra,concludono che, trattandosi di mattoni depicti(anzichénettidi petra, cioè privi di intrusi calcarei), deve essere riferito a questa testimonianza il presunto pavimento di cui si sarebbero trovati i resti cinquecenteschi durante la ristrutturazione del palazzo in cui abitava lo spettabile Ram, proprietario deltrappetodella canna da zucchero di Partinico18.
C’è da allegare all’errata lettura del documento che, se si fosse trattato di mattoni dipinti, i quarantamila richiesti costituivano un numero esorbitante poiché i tozzetticon decorazione pittorica, genere cui appartengono i frammenti di Partinico, in questo periodo fabbricati esclusivamente a Sciacca o a Caltagirone, erano adoperati, secondo la moda del tempo (manifesta anche nei pavimenti di marmo) come inserimentinegli estesi impiantiti di semplice cotto caratterizzati dalle mattonelle esagonali. E’ chiaro che i due lavoranti, stazzonaridi vecchia conoscenza documentale, non avendo dimestichezza con gli smalti, non potevano essere gli autori delle mattonelle in questione. Dovevano peraltro meritare straordinaria ammirazione se, per l’incongruità del prezzo pattuito (ventotto tarì il migliaio), si fossero dati a decorarne ben quarantamila, per di più adoperando un repertorio di immagini non del tutto semplice, a giudicare dalle foto dei frammenti esibite dagli stessi autori. In verità lostazzone,che Francesco Ram nell’aprile del 1573 aveva annesso - com’era d’uso – al suo trappeto per l’allestimento dei cantarellidi creta adibiti alla colatura della melassa, in via straordinaria era servito anche per approntare tegole e mattoni necessari alla ristrutturazione del caseggiato. 
Non dovrebbero destare meraviglia nei due autori i soggetti rappresentati nei frammenti emersi. Che si tratti o no di indii, lama, orsi pescatori, tigri, belve con mantelli maculati, unicorni ed altre terrificanti creature elencate nel “contributo”, le immagini facevano parte di antichi “bestiari”, un repertorio noto e praticato sin dal medioevo.Allo stesso caravan serraglio appartiene Il leone che, dipinto su untozzetto, è effigiato nella copertina del volume sulla ceramica siciliana pubblicato dalla Casa Editrice Kalos19.
L’animale, declinando gentilmente l’invito di recarsi a Partinico rivoltogli dagli stessi redattori, rimane volentieri a Sciacca dove dice di essere nato, nella metà del ‘500, insieme (verosimilmente) alle altre figure strapaese individuate nei frammenti in questione. 



Note
1 Vincenzo Abbate ( Inventario polizzano. Arte e società in un centro demaniale del Cinquecento, Palermo 1992)riporta la notiziadi una fornitura locale di mattonelle smaltate alla Cappella di San Gandolfo operata nel 1358 dai figuli De Leu e Liarda; A. Ragona (Op. cit.) attribuisce a Polizzi un catino e un versatoio di questo periodo alle officine di Polizzi.
2 ASP. Not. G. Di Chiara, Vol. 10854, f. 37; ASP. Not. G.F. La Panittera, Vol. 2710, f. 64
3 Trascrizione in G. Pitrè, Medici, Chirurgi, barbieri e speziali antichi in Sicilia, sec. XIII-XVIII, ris. anast. 1992, pag. 212 segg. ; ASP. Not. Nicolò Aprea, Vol. 833, f. 332
4 ASP. T.R.P. , Vol. 236 bis, f. 278. A dimostrazione della fluidità e delle incertezze in cui versava il settore della ceramica in questo periodo nella città di Polizzi , il gabelloto Francesco Cariana si limitava a chiedere soltanto una dilazione del versamento della cifra di 4 onze e 10 tarì nella speranza che, alla riapertura delle botteghe, egli potesse recuperare le somme perdute. Il documento era noto ad Antonino Ragona che lo cita nella sua Opera del 1959.Cfr.A. Ragona, La ceramica siciliana dalle origini ai giorni nostri , Palermo 1955
5 Una testimonianza che nei rapporti commerciali (cordame, miele d’api e maioliche) stabilitisi tra Caltagirone e Palermo si fossero naturalmente inseriti anche le implicazioni culturali ed artistiche è costituita dalla commissione calatina del primo ottobre 1490 di uno stendardo dipinto su seta, destinato alla nuova Chiesa Madre di Santa Maria del Monte, al pittore palermitano Pietro Ruzzolone (ASP. Not. P. Taglianti, Vol. 1171).
6 ASP. Not. M. Fallera, vol. 1762
7 ASP. Not. F. L Panittera, Vol. 2710, f. 113
8 ASP. Not. G. Carracino, Vol. 3487; Not. G. Carracino, Vol. 3490 
9 ASP. Not. Vulcano Salvatore, Vol. 5081, f. 294
10 Cfr. I. Navarra I figuli di Sciacca negli anni1435-1522 in Estratti Libera università di Trapani, anno VI, n° 17 (1987) pag. 142
11 ASP. Not. G. Perdicaro, Vol. 10866 
12 ASP. Not. A. Giglio, Vol. 7149
13Studi in onore di Antonino Ragona, a cura di S. Scuto, Caltagirone 2008, 
14 M. Reginella, Paola Scibilia, Un contributo alla storia della ceramica di Polizzi, in Studi in onore di Antonino Ragona, a cura di S. Scuto, Caltagirone 2008, pag. 37
15ASP, Not. Matteo Fallera, Vol. n° 1762, f. 202 r., Il maestro Maccarruni si era già impegnato in una simile fornitura a due giudei palermitaniIl 3 novembre del 1490 (ASP.Not. G. Randisio, Vol. 1160 bis) e ancora il 20 dicembre 1490, (ASP. Not. A. Ponticorona, Vol. 1305) per una fornitura di forme al trappetodi Pietro Antonio Imperatore come pure il 14 gennaio del 1491, insieme a Giovanni Granata e Nicola de li Sarti per una fornitura altrappeto di don Pietro Agliata, furmarum duo mille ad opus reponendi zuccarum della capacità da 12 a 14 quartucci(litri 9 e litri 10,5) (ASP. Not. Taglianti, Vol. 1171, f. 448)
Nel 1490 (4 gennaio) il maestro Guglielmo di Polizzi (de Politii, detto Maccarruni), cittadino palermitano, vendeva al giudeo Vito Ferreri 500 formedella capacità di quartucci 12 e 14 per il prezzo di un’onza e 15 tarì. Il 12 gennaio dello stesso anno (ASP. Not. Andrea Ponticorona, Vol. 1305) lo stesso maestro Guglielmo di Polizzi acquistava da Abramo de Medico, giudeo, 28 salme dinozzolo(sanza) per la sua fornace, al prezzo di onze una d’oro, tarì 13 e grani 10 . 
Nel 1491 il figulo Calogero De Girardo vendeva oglolori et flascos(bricchi e fiaschi stagnati) al grossista Jacopo Bonfanti per lo stesso prezzo che il compratore li aveva avuti dal maestro Antonio di Caltagirone (Asp. Not. Ponticorona, Vol. 1306). La notizia appare di un certo interesse poiché attesta la presenza di maestri calatini che vengono a vendere direttamente la loro merce a Palermo.
Nel 1494 Giovanni Granata, in società con Nicola de Li Sarti, e Vincenzo de Milana fabbricava furminell’apotecasita nel quartiere dell’’Albergheria, in contrata di li quartarari, confinante con l’officina del maestro Jacopo di Sciacca (per Iacopo di Sciacca vedi doc. seguente).(ASP. Not. P. Taglianti, Vol. 1174, f. 389) 
1482 (22 febbraio) ASP Not. Matteo Vermiglio
Jacobus de Xaccafigulus et Nicolaus de Milana socer et gener si obbligano a Nicolao de Bononia per fornire miliara duo furmarum ( per lo zucchero di canna) 
16In verità si tratta di contenitori cilindrici (furmi) di terracotta smaltata anche internamente per conservare nei ripostidel trappetolo zucchero a fine lavorazione. Le cento formepiccole erano alte intorno ai cm. 27; le altre cento intorno ai cm. 150; le ultime cento di poco più alte. Le dimensioni del diametro, non espresse nel documento, dovevano consentirne la presa manuale. 
Paolo Boeri, di origini genovesi, che abbiamo conosciuto come imprenditore deluso a Polizzi, era parente (padre?) dell’aromatario palermitano Pietro Boeri che sarà consigliere della Maestranza degli aromatarianche durante il consolato del famoso speziale Alojsio Garillo. 
17R. Savarese, R. Mendolia, Partinico: il pavimento cinquecentesco di Palazzo Ram, in op. cit., pag. 44
18ASP. Not. Alfonso Cavarretta, Vol. 1820, f. 5
19 R. Daidone, La ceramica siciliana Autori e opere dal XV al XX secolo, Palermo 2005. 
N.B Lo scrivente, che non aveva alcuna intenzione di svegliare il leone che dorme, è stato costretto a farlo a causa della citazione che lo riguarda (il leone): “ Il sistema figurativo potrebbe permettere di attribuire alla fornace di Palazzo Ram, o almeno ai suoi artisti (sic), diverse mattonelle oggi esistenti in collezioni pubbliche o private come p.e il leone recentemente pubblicato da Rosario Daidone (sic)(Op. cit. pag. 46)



Figuli di Polizzi citati nei documenti dal XV al XVI secolo

XV SEC. ( ASP, spezzone Not. Ignoto, Vol. 1358 ); 1477 (6 ottobre) (ASP, Not. Girolamo Di Chiara, Vol. 10851); 1478 (22 agosto) (ASP, Not. Girolamo Di Chiara, Vol. 10851); 1496 (30 agosto) ASP, Not. Girolamo Di Chiara, Vol. 10853
Giovanni Di Fede (cannataro)
Nitto Di Fede (figlio di Giovanni Di Fede, cannataro)
Ludovico Battaglia (cannataro)
Antonio Maniscalco (cannataro)
Filippo Li Voltari (defunto)
1475 (15 marzo) ( ASP, Not. Girolamo Di Chiara, Vol. 10851)
Tommaso de Silvestro (stazzonaro, tegolaio)
1482 (27 aprile) (ASP, Not. Girolamo Di Chiara, Vol. 10852, f. 186)
Giovanni Pastorello (cannataro)
1483 (13 marzo) (ASP, Not. Girolamo Di Chiara, Vol. 10852)
Lorenzo Savio (stazzonaro tegolaio)
1495 (14 ottobre) (ASP, Not. Girolamo Di Chiara, Vol. 10853)
Bartolomeo Minabeti (stazzonaro tegolaio)

1496 (4 settembre) (ASP, Not. Girolamo Di Chiara, Vol. 10853)
Andrea Tranchida (stazzonaro, tegolaio) 
Antonio Maniscalco (cannataro)
Simone Scalzo (cannataro)
Tommaso Lo Vascio (cannataro)

1497 (4 luglio) (ASP. Not. Girolamo Di Chiara, Vol. 10853,f.167); 1497 (6 novembre)(ASP. Not. Girolamo Di Chiara, Vol. 10854, f. 37)
Giovanni Liarda (cannataro) 
1513 (8 aprile) (ASP. Not. Francesco La Panittera , Vol. 2710, f. 113)
Gandolfo Battaglia (cannataro)
1526 (25 settembre) (ASP, Not. Giovanni Perdicaro, Vol. 10866)
Giovanni de Campisio (stazzonaro tegolaio)
1527 (2 aprile) (ASP, Not. Giovanni Perdicaro, Vol. 10866)
Muore Giovanni de Campisio
1527 (25 luglio) (ASP. Not. Giovanni Perdicaro, Vol. 10866)
Vincenzo Marguglio (cannataro)






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