Da una immediata ricerca sulle opere del pittore impressionista (Limoges 1841- Cagne sur Mer 1919) mi accorsi che in tre delle cinque repliche del quadro, custodito al Museo d’Orsey di Parigi, erano dipinti altrettanti vasi calatini, come se nelle poche varianti pittoriche delle repliche all’artista interessasse particolarmente la presenza quasi ossessiva di quegli oggetti preziosi. Le inattese esistenze ceramiche nelle tele di Renoir costituirono per me, studioso della materia, il punctum cui pensavo di rivolgere la mia attenzione e di cui nessuno, meglio attrezzato di me, si era curato, a quanto pare, nei numerosi saggi sull’opera del pittore.
Renoir era stato a Palermo nel gennaio del 1882 per eseguire il ritratto del musicista Wagner che, all’Hotel delle Palme, si accingeva ad ultimare il Parsifal. Immaginai allora che Renoir, dopo essere stato a visitare Monreale, gironzolando per la città, in attesa di essere ricevuto dallo scontroso musicista, avesse notato nella vetrina di un negozio d’antiquariato palermitano le maioliche che tanto lo interessarono da decidere di acquistarne alcune e spedirle in Francia all’indirizzo del suo studio.
Non si poteva dubitare che, a dieci anni di distanza del suo viaggio a Palermo, durante la creazione delle Jeunes filles, nel 1892, la maiolica dipinta non fosse presente davanti al suo cavalletto, così precisa è la conformità dell’oggetto rappresentato rispetto alle maioliche di Caltagirone, sia nell’aspetto volumetrico che nella decorazione. Non appare possibile infatti che potesse dipingere “a memoria” data la perfetta coincidenza identitaria tra l’oggetto e la sua rappresentazione pittorica. Ma la convinzione che l’interesse artistico per le maioliche siciliane fosse legato al suo viaggio a Palermo durò fino a quando, esaminando altre opere del pittore, mi accorsi che un quadro con fiori dentro una boccia con rosette di buon-augurio e ramges su fondo blu di fabbricazione calatina era stato eseguito intorno al 1878, quattro anni prima dunque del suo viaggio a Palermo! Costretto a rivedere con una certa delusione la mia ipotesi alla quale mi ero calorosamente affezionato per il fascino che la coincidenza tutta siciliana suscitava, non restava che tentare altre vie per giustificare la sorprendente presenza in forma di pittura delle ricorrenti maioliche siciliane che, nella loro solida esistenza, dovevano, sicuramente, essere presenti nello studio del pittore.
E’ noto che da giovane Renoir aveva lavorato come decoratore di ceramica nelle famose officine di Limoges, sua città natale, dove, come modelli e fonte d’ispirazione, dovevano probabilmente esistere delle maioliche antiche. Ma il lavoro di Renoir a Limoges era stato abbandonato da anni e la tesi risultava anch’essa poco agibile se non del tutto infondata dal momento che nel periodo in cui il pittore dipingeva le Jeunes filles non abitava più nella città.
Tra le notizie biografiche più dettagliate è riportato che un suo amico, il padre delle due ragazze che posarono per le “jeunes filles”, fosse un appassionato collezionista di maioliche per cui l’ipotesi più probabile al momento potrebbe restare quella di eventuali prestiti delle maioliche siciliane fatti dall’amico al pittore perché se ne servisse come modelli per i suoi quadri.
I motivi di tanta attenzione, così insistita, tanto che dal 1878 al 1914 Renoir dipinse, quasi fino alla sua morte, almeno sei quadri con i vasi di Caltagirone, da parte di un maestro del colore e uno dei più autorevoli rappresentanti dell’Impressionismo appaiono così chiari che non necessitano di giustificazione artistica o psicologica. Architetture così equilibrate, blu così profondi, verdi squillanti, bianchi purissimi e gialli così intensi come quelli che i maestri calatini del Settecento seppero dare alle loro maioliche non è facile incontrarne nelle realizzazioni di altre fabbriche europee che pure godono di qualche citazione in altri dipinti di Renoir.
La mia scoperta, conosciuta attraverso un articolo scritto per la rivista “CeramicAntica” e la pubblicazione nel volume “La Ceramica Siciliana” per l’editore Kalos nel 2005, suscitò l’interesse del Museo internazionale delle Ceramiche di Caltagirone che dedicò all’evento inaspettato una vetrina con il mio articolo nella rivista corredato da una riproduzione del quadro di Renoir e da un paio di maioliche, corrispondenti a quella dipinta nella tela, custodite nel Museo.
Ma le notizie di contenuto artistico non hanno, a quanto pare, gran lena e non godono della stessa velocità di diffusione di quelle d’altro genere o di cronaca per cui il 27 febbraio del 2012 (sette anni dopo la mia scoperta) un articolo dal titolo Mistero al Museo della ceramica di Caltagirone di una non meglio nota Giorgia Turco, incuneava l’evento, ormai non più fresco di giornata, tra la citazione di una vera eminenza nell’ambito della maiolica come il mio amico Antonino Ragona e la confezione della tesi di laurea in lettere e filosofia di una ragazza dell’università di Palermo. La signora scriveva: “… grazie alla tesi di laurea di Lucia Ajello, neolaureata in lettere e filosofia a Palermo e alla rilettura de “La Ceramica siciliana” di Rosario Daidone pubblicato grazie (sic!) agli studi del Prof. Antonino Ragona, ceramologo di fama internazionale (…) è stata scoperta la presenza di ceramiche calatine del XVIII secolo in tre delle cinque versioni delle “Jeunes filles au piano” (…).
Che dire? Intempestiva improvvisazione o vera e propria disonestà intellettuale?
Fortunatamente lo stesso fenomeno non si è verificato negli studi internazionali più accreditati. In un lungo articolo francese ricco di immagini del 12 maggio dello stesso anno (blog Bon sens et deraison), a proposito della mia scoperta si legge: …”C’est un ceramologue réputé et éminente, Rosario Daidone, qui a lancé “l’affaire”. Se trouvant devant la peinture de Renoir “Jeunes filles au piano” son regard fut attiré par le vase empli de fleurs posé sur le piano: “mais c’est une boccia de Caltagirone !..
Se ci fosse bisogno di ribadirlo, gli esempi servano a confermare che nessuno si illuda di essere profeta in patria, specialmente nella nostra amata Italia dove a chiunque potrà capitare, (come a me è capitato talvolta con le scuse tardive del responsabile dopo le mie contestazioni) di leggere interi periodi delle mie pubblicazioni trascritti da qualcuno senza l’uso delle virgolette né l’ombra di una citazione nel tentativo di spacciare per proprie le fatiche altrui.
Non sapevo del tuo interessantissimo blog, caro Rosario, che seguirò con molta attenzione e gioia. I "copia copiarum" (termini adattati da noi studenti delle superiori negli anni Settanta del secolo scorso per identificare i copiatori seriali) sono sempre esistiti e purtroppo non demordono, soggetti privi di personalità ed originalità di stile nonché pigri ed ignavi. Ogni azione di ricerca e di rielaborazione per loro significa le sette fatiche di Ercole tutte in una volta. Complimenti e ad maiora semper!
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