lunedì 7 giugno 2021

Diego Di Leo stazzonaro palermitano pittore di maiolica

  Le prime notizie che riguardano Diego di Leo appartengono alle ricerche di Alessandro Giuliana Alaimo che fornisce la data del  matrimonio (7 settembre 1637) con una tal Francesca Montuoro e quella della morte avvenuta nel 1673. 




Da più approfondite indagini documentarie risulta che Diego, seppure ignota resti la sua data di nascita, apparteneva ad una famiglia di maiolicari, figlio di mastro Angelo, proprietario di stazzone, e fratello minore di Antonino, conduttore, insieme a Paolo Lazzaro di Naso, di un’officina palermitana di primordine che vantava come pictor di vaglia il monrealese Andrea Pantaleo. Nel buio di più dettagliate notizie biografiche, in un testamento, emerso dall’Archivio di Stato di Palermo, dettato nel 1662, Diego nominava la seconda moglie, Eleonora Lamberti, usufruttuaria della casa che aveva avuto in donazione da una cugina nel quartiere di San Giovanni dei Tartari, nella Contrada degli Stazzoni. E, come proprietaria, la figlioccia Ninfa Giuliana ancora bambina di due anni. Ma quel che più intriga la lettura di questo curioso documento è la singolare disposizione post mortem che contiene. Essa riguarda un quadro della Madonna delle Grazie dipinto da Diego su lavagna che fermamente intende destinare al Convento di Sant’Antonio da Padova fuori porta di Vicari "ad effetto che li padri debbano mettere nella portarìa a parte, et cu nesci o trasi in ditta portarìa l’abino di vedere per riverirla". Se i frati di Sant’Antonio non avessero accettato i patti, il quadro (non si sa di quale valore artistico) doveva, secondo l’insistita volontà di Diego, immantinente passare al Convento del Carmine alle stesse condizioni: “esponendolo detti padri a parte et ogni uno l’abia di salutare”. Dopo le testimonianze di questa carta notarile si perdono le tracce del decoratore senza figli anche se la possibilità di revoca delle disposizioni che il maiolicaro si riserva davanti al notaio, lasci pensare che non fosse esclusa la guarigione dalla probabile malattia che lo aveva convinto a fare testamento. Motivo per il quale non sembra oppugnabile l’ipotesi che la sua esistenza in vita si fosse protratta sino al 1673 anno che Alaimo indica come data della sua scomparsa. Il dubbio cronologico non esclude tuttavia che altrettanta attenzione meriti un altro documento del 1680 che indirettamente riguarda il nostro maiolicaro. In esso Eleonora Lamberti, ormai sicuramente vedova, chiede ai frati Carmelitani di poter cedere la casa, lasciatale in usufrutto da Diego, come deposito a un bottegaio disposto a pagare il censo annuale dovuto al convento, poiché, “come luogo scognito di abitazione essa non riusciva a percepire nessun utile, abitabile com’era solo da gente povera non in grado di pagare la pigione.  La notizia, che registra la perdita di valore dell’immobile di cui sarebbe diventata, a suo tempo, proprietaria la figlioccia, potrebbe attestare  il declino che in questi anni subisce il Quartiere dello Stazzone reso malsano dai fumi delle fornaci e il conseguente trasferimento domiciliare delle maestranze in luoghi meno degradati come le vie delle Pergole e dei Trappetazzi, più vicine alla porta di Sant’Agata, dove si trovano infatti domiciliati gli operatori della maiolica del Settecento a conferma e monito che siano da considerare “beni vuoti” quelli che si lasciano agli eredi. Se Diego non era riuscito ad assicurare un minimo di benessere alla moglie, né a riservarsi come pittore un posto di riguardo nel novero degli artisti col dipinto da esporre in bella vista nella chiesa, di Sant’Antonino o del Carmine che fosse, il suo nome è arrivato sino ai rari posteri che della materia s’interessano come decoratore di maioliche avendo firmato e datato una boccia da spezieria con l’immagine dell’Annunziata esistente in collezione privata. Sicché, essendo la morte “giusta dispensiera di gloria”, Diego Di Leo sembra essere passato alla storia non come artista del pennello, ma, più modestamente, come decoratore di maiolica, mestiere che inconsapevolmente con maggiore perizia dell’altro era stato forse in grado di esercitare.  E non sembra essere questo fenomeno inconsueto giacché è accaduto, anche in ambiti culturali più elevati, che, aspettandosi qualcuno la fama per i poemi, gli sia arrivata invece per i componimenti “di poco conto”.  Del fratello Antonino, fornitore, nel 1657, delle mattonelle da censo per l’Unione dei Miseremini della Chiesa di San Matteo sul Cassaro con l’immagine di una prospera anima purgante tra le fiamme è rimasto, ad oggi, un raro esemplare, anch’esso in collezione privata.